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8 Giugno, 20

Articoli di esperti

Tra guerra e pace

Eugenio Corti: Epopea di uno scrittore, di un uomo, di un cristiano attraverso le sue parole

Epica è una parola greca (ἐποποΐα, da ἔπος (v. epos) e ποιέω "fare"). Indica la narrazione poetica di gesta eroiche, come i poemi epici, o cicli di poesie che raccolgono storie leggendarie in un'unità organica. E la vita di Eugenio Corti, il grande scrittore italiano, è davvero un'epopea.

L'infanzia dell'autore

Corti è nato vicino a Milano nel 1921, primo di una lunga famiglia di dieci fratelli, famiglia di forti convinzioni cristiane. Suo padre era un industriale tessile che, da povero apprendista, era diventato proprietario della fabbrica in cui lavorava. Infatti, dopo averla acquistata, è riuscito ad ampliarla e ad aprire nuove filiali.

Sebbene mostrasse una grande inclinazione per la letteratura fin dalla più tenera età, suo padre voleva che studiasse legge, così si iscrisse all'Università Cattolica di Milano, dove studiò solo il primo anno di legge prima di essere chiamato come sottotenente nell'artiglieria. Lui stesso chiese di essere assegnato ai combattimenti sul fronte russo, dove l'Italia, insieme alla Germania, stava conducendo una campagna di conquista.

La guerra

Corti voleva "farsi un'idea dei risultati del gigantesco tentativo di costruire un nuovo mondo, completamente libero da Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti". Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo. Per questo motivo, ho pregato Dio di non farmi perdere quell'esperienza".

I giorni in Russia sono stati i più drammatici della sua vita: la truppe Le forze sovietiche costrinsero gli italiani a una drammatica ritirata che costò all'Esercito Italiano in Russia (ARMIR), forte di 229.000 uomini, 74.800 morti. Inoltre, dei 55.000 soldati catturati dai russi, solo 10.000 sono tornati a casa, molti dei quali dopo anni di torture in campi di concentramento. Questa ritirata, in cui Eugenio Corti fu tra i pochi sopravvissuti, fu raccontata da lui stesso nella sua prima opera, I più non ritornano (La maggior parte non ritorna).  

Alla vigilia di Natale del 1942, stava per morire congelato a circa -35 gradi Celsius, fece un voto alla VerginePromise di dedicare tutta la sua vita a lavorare per il Regno di Dio, di diventare uno strumento di quel Regno con le qualità che gli erano state date, per avere un'idea dei risultati del gigantesco tentativo di costruire un nuovo mondo, completamente libero da Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti. Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo. Per questo motivo, ho pregato Dio di non farmi perdere quell'esperienza.

Se fossi stato salvato, avrei trascorso tutta la mia vita sulla base di quel versetto del Padre Nostro in cui si dice: "Venga il Tuo Regno".

Italia

Al ritorno a ItaliaNel 1943, si unì alle truppe alleate per liberare l'Italia dall'occupazione nazista. La sua opera Gli ultimi soldati del re racconta questo periodo. Corti scrive: "La patria non va confusa con i monumenti del nostro Paese o con un libro di storia: è l'eredità lasciataci dai nostri padri, dai nostri genitori. Sono le persone come noi: i nostri parenti, amici, vicini, coloro che la pensano come noi; è la casa in cui viviamo, quella a cui pensiamo sempre quando siamo lontani; sono le cose belle che abbiamo intorno. La patria è il nostro modo di vivere, diverso da quello di tutti gli altri popoli".

TRA GUERRA E PACE 1

Eugenio Corti è morto il 4 febbraio 2014 nel suo luogo di nascita, lasciando un'eredità incredibile, in senso umano, cristiano e letterario. La sua vita e le sue opere riassumono il ruolo di un artista e di uno scrittore in particolare, che non è affatto, come si potrebbe pensare oggi, quello di essere un venditore di best seller.

Dopo la guerra

Dopo il completamento del La Seconda Guerra MondialeEugenio Corti tornò con riluttanza ai suoi studi di legge presso l'Università Cattolica di Milano. Riuscì a laurearsi, ma l'orrore della guerra aveva cambiato per sempre la sua prospettiva sulla realtà. Era un veterano, ancora giovane, e non si riconosceva più nei problemi dei giovani della sua età. Voleva scrivere, raccontare a tutti quello che gli era successo.e non solo a se stesso: voleva essere fedele al giuramento fatto al Vergine e alla memoria dei loro colleghi deceduto.

Così, dopo aver pubblicato I più non ritornano, ha continuato a studiare i processi socialeLi descrive come "molto individualisti, istintivamente disorganizzati e soggetti alla ribellione contro l'autorità: il modo in cui i soldati italiani hanno agito in guerra rappresenta perfettamente il loro modo di vivere in patria". Il buon cuore dei nostri soldati è evidente. Tuttavia, altrettanto evidente è la difficoltà di lavorare insieme, di unirsi per il bene della bene comune."

Il comunismo

In quegli anni, Corti si dedicò a uno studio teorico e storico molto approfondito del comunismo: unito alla sua esperienza personale in terra sovietica, questi studi gli fecero comprendere non solo ciò che stava accadendo in Russia, ma anche le ragioni del fallimento dell'ideologia. comunista. Dello stesso periodo è l'opera Processo e morte di Stalin, in cui Stalin stesso è vittima di un processo per i suoi crimini, che egli stesso giustifica come una conseguenza naturale e logica dell'applicazione della dottrina marxista.

 

"Lo scrittore deve prendere in considerazione l'intera realtà del suo tempo. Per questo motivo, è l'unico professionista che non ha il diritto di avere una sola specializzazione. Tuttavia, non può sapere tutto: deve avere una vera competenza almeno nei settori più importanti. Da parte mia, ho scelto di studiare il comunismo (il più grande pericolo per l'umanità in questo secolo) e la situazione attuale della Chiesa cattolica, perché in essa vedo la più grande speranza.." Eugenio Conti

 

La sua lotta personale

Da questo momento in poi, però, Eugenio Corti, a causa del suo anticomunismo ragionato, fu sistematicamente ostacolato dalla stampa italiana e dal mondo della cultura, già altamente ideologizzato.

Con un carattere molto forte e ironico, Corti non consegnato e ha continuato a svolgere le sue analisi ben documentate, in particolare sugli orrori e i massacri commessi dai comunisti prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale (60 milioni di vittime in Russia; 150 milioni in Cina; moltissime anche nel Sud-Est asiatico, soprattutto in Cambogia; circa 40.000 sono state le vittime dei partigiani in Italia, per non parlare dell'enorme tragedia del confine orientale del Paese, quella che oggi è l'Istria di Croazia e Slovenia: almeno 10.000 italiani uccisi e 300.000 esiliati). Il suo obiettivo era quello di rendere l'Occidente consapevole della situazione nel mondo dominato dal marxismo, e questo molto prima che Alexander Solgenitzin, in un discorso alla Duma (Parlamento russo) nel 1994, ricordasse i sessanta milioni di morti causati dal comunismo.

"In questo momento, una volta terminata la fase degli omicidi di massa, è arrivata la fase delle bugie: i grandi giornali, la radio e la televisione continuano, soprattutto con il sistema delle mezze verità, a far credere al pubblico che l'omicidio di massa è una bugia. persone comuni non ha un quadro chiaro della realtà passata e presente. Ecco perché dobbiamo sforzarci di cercare e far conoscere la verità. Il fronte più importante oggi è quello della cultura. Il comunismo, quindi, non è finito. La sua fase leninista è terminata, quella in cui la dittatura del proletariato veniva esercitata attraverso l'eliminazione fisica degli oppositori. Oggi, però, in Italia ci troviamo di fronte al comunismo gramsciano [del suo ideologo Antono Gramsci], in cui la dittatura degli intellettuali 'organici al comunismo' [l'espressione è dello stesso Gramsci] si esercita attraverso l'emarginazione sistematica, cioè la morte civile degli oppositori".

Corti rimprovera anche gran parte del mondo cattolico italiano, a causa della sua adesione acritica alle idee di Jacques Maritain contenute nel suo libro Umanesimo integrale, che ha aperto le porte del cattolicesimo in Italia e nel mondo alle correnti moderniste, sia in ambito politico (il cosiddetto 'impegno storico') che in ambito teologico, dove sono emersi autori come Karl Rahner.

L'opera che spicca maggiormente tra tutti gli scritti di Eugenio Corti è senza dubbio Il cavallo rosso. Corti ha trascorso undici anni a scriverlo. Il libro è stato pubblicato nel 1983 da una piccola casa editrice, Ares (il cui direttore, Cesare Cavalleri, dell'Opus Dei, era un ottimo amico dell'autore).

L'opera, una vera e propria epopea che copre 40 anni di storia, è ispirata ai cavalli dell'Apocalisse ed è divisa in tre volumi:

"Per il primo volume ho scelto il 'cavallo rosso', che in quel testo è il simbolo della guerra. Poi c'è il "cavallo verde", simbolo della fame (i campi di concentramento russi) e dell'odio (le lotte civili). Infine, l'"albero della vita", che indica la rinascita della vita dopo la tragedia".

L'eredità dell'autore

Lo svolgimento del romanzo, così come il suo epilogo, riflettono l'idea di Corti che l'arte cristiana non può abbandonare il realismo:

È la filosofia della croce: non siamo in questo mondo per essere felici, ma per essere messi alla prova. [Inoltre, qualsiasi relazione qui finisce alla fine della vita.

Eugenio Corti sa bene che, nelle vicende della vita e della storia, il bene non può sempre vincere, come si esprime anche l'editore Cesare Cavalleri, parlando del libro come di "...un libro non sempre buono".un'epopea di perdenti, perché la verità può anche conoscere eclissi e sconfitte e rimanere la verità intatta e vera.". Tuttavia, ogni apparente sconfitta del bene è solo una mezza verità: la storia si completa in cielo, che non ci è ancora permesso di vedere qui e che, nella narrazione di Corti, diventa l'"epopea del cielo", dove convergono le miserie umane.

Nonostante l'ostracismo del mondo culturale contemporaneo, Il cavallo rosso è stato ed è tuttora un grande successo in tutto il mondo, essendo stato tradotto in quindici lingue.

Negli ultimi anni della sua vita, Eugenio Corti decise di dedicarsi a una nuova serie di scritti che chiamò "storie per immagini", che, nella sua visione, dovevano servire come sceneggiature per la televisione, tra cui L'isola del paradiso, La terra dell'indio e Catone l'antico, oltre che allo studio del periodo storico che amava di più: Il Medioevo e altri racconti è apparso nel 2008.

Solo pochi anni prima della sua morte, Eugene ricevette un'attenzione insolita da parte delle istituzioni. Oltre ai vari premi che gli sono stati assegnati, è stato istituito anche un comitato per la candidatura al Premio Nobel per la letteratura.

Tuttavia, nella coscienza di questo autore, l'aspettativa della morte, o meglio della vera vita, si faceva ogni giorno più profonda: "Ho scritto abbastanza. Ora vorrei solo andare in Paradiso e abbracciare i miei genitori, i miei fratelli e sorelle, tutti coloro che ho amato sulla terra. Mi sono impegnato con la penna per trasmettere la verità. Se ho raggiunto il mio obiettivo, beh, non lo so. Ma la cosa più importante è la misericordia divina: senza dubbio ho commesso molti errori, ma quando mi presenterò a Dio credo che mi considererà ancora uno dei suoi.

Berna duro

Nelle antiche tribù germaniche, il narratore era chiamato "bern hard", cioè coraggioso con gli orsi (da qui il nome Bernard), perché inseguiva gli orsi e teneva lontani i pericoli materiali e spirituali dal villaggio. Era lo sciamano della tribù, il depositario delle arti magiche e dello spirito collettivo della comunità, cioè il guardiano dell'umanità (con tutto ciò che questo termine significa), delle persone che aveva il compito di proteggere e incoraggiare e alle quali doveva dare speranza. Kierkegaard l'ha detto bene: "Ci sono uomini il cui destino deve essere sacrificato per altri, in un modo o nell'altro, per esprimere un'idea".

Uno sciamano, il paradigma dell'umano. Lo scrittore è un cavaliere, un uomo coraggioso armato di penna (oggi, forse, di tastiera di computer) che, con grande sacrificio, combatte contro il più grande nemico degli esseri umani, un mostro terribile che divora gli uomini e soprattutto ruba i loro ricordi, i loro sogni, la loro stessa identità: la morte. Ma è una morte che non significa solo la cessazione fisica dell'esistenza terrena, bensì l'annientamento dell'esistenza spirituale, ergo nichilismo, bruttezza, noia, menzogna, ozio e, soprattutto, oblio.

Lo scrittore, e Corti ha interpretato questo ruolo alla perfezione, è l'avanguardia dell'umanità e sceglie, come Gesù andando alla croce, sacrificio la sua vita andando in battaglia. Avendo un dono contemplativo più notevole di quello degli altri uomini (molto spesso una ferita aperta e sanguinante, una malinconia esistenziale descritta in modo eccellente da Romano Guardini nella sua opera Ritratto della malinconia), affronta questi mostri, questi 'orsi', cioè la morte. Dopo aver lottato contro l'oblio, utilizzando quella bellezza e quella verità che ha il dono di contemplare, torna dal suo prossimo, ferito, stanco e deluso nel vedere che su questa terra l'assoluto, la bellezza e la bontà del mondo, la bellezza e la bontà del mondo, la bellezza e la bontà del mondo, sono andate perse. eterno non sono sovrani (e questo è proprio il realismo dell'artista cristiano).

Si potrebbe addirittura paragonare la vita di un vero scrittore alla missione del primo maratoneta (Filippide, che viene chiamato emerodromo). Lo scrittore, quindi, è anch'egli un hemerodromo, forse ancor più un biodromo, ossia qualcuno che è combattuto tra il relativo e l'assoluto, tra la morte e la vita, tra la soddisfazione di poter contemplare la bellezza e la verità più di altri, e il rammarico e l'infelicità di non poterle vedere realizzate su questa terra.

Lo so, l'ho visto, l'ho visto! L'ho visto: so chi sei, uomo, so chi eri e per chi sei stato creato. Forse non lo sa e forse non lo ricorda o forse non ci crede, ma io glielo grido, glielo racconto attraverso le storie di tempi e persone che possono sembrare lontani, ma sono la sua storia. Dei o eroi: ognuno di loro è lei; lei è prezioso, importante, bello, eterno, lei è un eroe la cui storia è degna di essere ricordata e tramandata per sempre.

Conclusioni

Vorrei concludere questo resoconto della vita, o meglio, dell'epopea di un grande artista con le sue stesse parole sulla necessità di una grande virtù, la pazienza, legata alla consapevolezza della sua la propria missione:

Non è sufficiente saper scrivere: sono necessarie delle argomentazioni. E queste ci vengono date dalla vita e dalla lunga esperienza. Solo a quarant'anni un uomo è abbastanza maturo per scrivere. Fino a quell'età, si è come bambini, e chi ha scritto troppo da giovane si è rovinato per sempre. Vedo che ci sono scrittori che a quarant'anni sono già vecchi: hanno raccolto il grano nell'erba. Orazio ha anche dato questo consiglio: aspettare. Il grano in erba non è necessario: sono necessarie le spighe.

Ho sempre creduto che la provvidenza ha dei disegni speciali per me. A volte tremo al pensiero della mia indegnità, e penso con timore che la Provvidenza si sia stancata delle mie miserie, della mia piccolezza, della mia ingratitudine, e che quindi mi abbia abbandonata per usare qualcun altro per raggiungere lo scopo a cui ero destinata. Poi, però, prego e mi agito, e invoco il Cielo, fino a quando un chiaro aiuto della Provvidenza stessa mi assicura che la Sua mano mi dirige sempre nello stesso modo: allora sono felice. Non voglio che la mia affermazione che la Provvidenza ha un disegno speciale su di me sia interpretata come un atto di orgoglio. Mi umilio, proclamo la mia miseria, ma devo dire che è così; negarlo per me sarebbe come negare l'esistenza di una cosa materiale che è davanti ai miei occhi.

Gerardo Ferrara
Laureata in Storia e Scienze politiche, specializzata in Medio Oriente.
Responsabile del corpo studentesco
Università della Santa Croce a Roma

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